L’Italia non è il solo Paese europeo in recessione – Bruna Remondino

L’Europa è un’opportunità o una sciagura ?

Europa in recessione

Europa in recessione

Torino – La crisi economica in Europa continua anche nel 2014 a distruggere posti di lavoro. La Germania e i paesi centrali dell’Eurozona hanno visto crescere i livelli di occupazione, mentre i Paesi periferici dell’Eurozona, Italia compresa, sono afflitti da crisi occupazionale, fallimenti aziendali e aumento consistente di sofferenze bancarie. Per la crisi, dal 2008, hanno chiuso solo in Italia più d 9mila imprese storiche (stime al ribasso) con più di 50 anni di attività: vale a dire 1 impresa su 4 (fonte: Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza). La competitività del nostro Paese secondo il World Economic Forum è scesa al 49° posto nel mondo, battuta anche da Lituania e Barbados. La disoccupazione aumenta, il credito alle Imprese e Famiglie diminuisce, il PIL registra un ulteriore segno negativo, mentre il Debito Pubblico tende ad aumentare.
Le autorità Europee, alcuni anni fa, hanno compiuto scelte che, come molti economisti avevano previsto, hanno contribuito all’inasprimento della recessione e ad ampliare le differenze dei singoli Stati membri dell’Unione; le politiche di austerità hanno ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti delle imprese e delle famiglie europee.
Le autorità Europee aderirono, qualche anno fa, alla dottrina dell’Austerità espansiva in base alla quale le restrizioni dei bilanci pubblici avrebbero favorito la fiducia dei mercati sulla solvibilità dei Paesi dell’Unione, con la conseguente diminuzione dei tassi di interessi e la ripresa economica. Come oggi, purtroppo dobbiamo constatare, le politiche di austerity hanno accentuato la crisi provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese e una piena recessione per molti Paesi Europei.
L’amministrazione americana, negli ultimi anni, ha deliberato una “Politica Economica Espansiva” consistente nella svalutazione del dollaro, immissione di liquidità sul mercato e aumento dell’inflazione. La vecchia ricetta economica per il rilancio dell’economia in un momento di crisi sembra essere ancora la più efficace e la meno traumatica. Le autorità europee, oggi, appaiono persuase dall’idea che i Paesi dell’Unione potrebbero risolvere i loro problemi attraverso le “riforme strutturali”. Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire, quindi, la ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l’estero. Questa tesi presenta, a mio parere, alcuni problemi reali che potrebbero compromettere ulteriormente l’unità europea. Le politiche deflattive praticate in Germania e altrove hanno per anni contribuito ad accrescere l’avanzo commerciale creando, di fatto, squilibri nei rapporti di debito e credito tra i Paesi della zona euro.
Il riassorbimento di tali squilibri richiede un’azione coordinata di tutti i Paesi membri dell’Unione: pensare che i singoli Paesi Europei si facciano carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi tale da determinare un crollo ulteriore dei redditi e una violenta deflazione dei debiti con la conseguenza di nuove crisi bancarie e seri problemi allo sviluppo e alla crescita.
Forse prima dell’unione monetaria sarebbe stato meglio fare l’unione economica e politica, ma è inutile piangere sul latte versato…, in attesa che la riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale dia vita ad un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati, contrasti le differenze tra i redditi e i territori e risollevi l’occupazione. Possiamo solo ricordare ai nostri politici che di Europa si deve e si può parlare…, ma si deve soprattutto agire per evitare che l’operazione riesca, ma il paziente Italia muoia. Bruna Remondino

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